Spazio Italia - Radio Timisoara

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15/03/2017

Retezat 41

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20160918_130110Ero nato lontano nel tempo, da quel tempo, da quelle persone, da quella storia e da quella cultura. Ero nato a Roma, ero a Bosza. Come si chiama quel fattore che ha deciso che io nascessi in una città di una nazione libera e ha deciso che le persone nate li avessero dovuto nascere lì. Caso, fortuna che sia, io ero stato fortunato. Non avevo vissuto le nazionalizzazioni selvagge, l’arroganza del potere assoluto. La violenza delle invidie delle persone che solo pochi mesi prima erano al servizio di altre, non perchè obbligate ma percè pagate. L’orrore di vedere i propri beni sequestrate e distribuiti a sconosciuti. L’angoscia di dover condividere la propria casa con altre famiglie sconosciute fino a poche ora prima. Avevo avuto fortuna. Fortuna ad esere nato dov’ero nato, nella famiglia da cui ero stato allevato, gli studi che avevo frequentato, le persone che avevo conosciuto, il mondo che avevo conosciuto. Fortunato ad essere lì, adesso ad aiutare Gianni, incazzato per il ritardo con cui ero riuscito ad ottenere il libero di dogana. Per lui ero il colpevole perchè non sarebbe riuscito ad arrivare a Cluj-Napoca in tempo per organizzarsi con la sua amica. “Ma porca miseria, non potevi dargli subito dei marchi così ci liberavamo prima? Adesso siamo ancora qui e non abbiamo finite nemmeno di scaricare. Addio scopate.” Non davo molto peso alle sue parole, se non quella Ragazza, ne avrebbe trovata, sicuramente un’altra disponibile a concedersi in cambio di qualche attenzione. Questo era quello che, la maggior parte degli stranieri faceva durante le serate e le notti lontano da casa. Anch’io non potevo non essere insensibile alla straordinaria quantità di ragazze e donne molto più che piacenti, ma, al contrario di moltissimi altri “ospiti” non ero nè affamato, nè, tanto meno, a digiuno di avventure dalle quali cercavo qualcosa che non fosse pura soddisfazione ormonale, bensì qualcosa che mi regalasse delle impressioni, più chè delle emozioni. Per questo, lì, in Romania, mi mancava un element fondamentale, non conoscevo la lingua. Oltre a questo, in realtà, non mi piaceva mischiare la mia persona con quella pletora di persone che sembravano essere guidate da un solo unico interesse, il sesso. Negli anni scoprii che in tutta l Romania, ma la questione era valida per tutti i paesi dell’Est Europa, per cui, una grande quantità di aziende costituite dopo la caduta del muro di Berlino, avevano, di fatto, come scopo sociale, l’attività sentimental commerciale.
Passai diverse ore a sistemare la merce nel capannone. Ion, uno dei tre ragazzi che avevo assunto per assicurare la guardia dell’immobile, mi aveva aiutato senza risparmiarsi. Non erano molti bancali, in tutto erano sei. Il furgone di Gianni ne poteva contenere otto, ma avevo ricevuto, oltre al materiale per produrre i primi cento quadri elettrici, per i quali avevo passato diverse ore, in Italia, con un dipendente di Paolo, ad imparare i trucchi e le particolarità di quell montaggio, anche delle attrezzature che a detta sempre di Paolo, erano fondamentali. Già dalla traduzione della fattura delle attrezzature avevo visto che il prezzo a cui Paolo le aveva fatturate, era decisamente spropositato, ma, ingenuamente, ritenni di risolvere quella questione alla prima occasione mi fossi trovato in Italia. Per il momento era necessario avviare le attività vere e proprie e non c’era molto tempo. Sempre Gianni, sarebbe tornado a caricare il frutto del nostro lavoro entro dieci giorni.
Alla luce delle mie esperienze future, quello che avevo iniziato a fare, aveva il sacro sapore di una pazzia. Non c’era un minimo di programmazione. Le informazioni sulle quali avevo basato tutta la mia avventura, erano delle parole sgrammaticate profuse dal Paolo senza che avessi avuto la possibilità di verificarne una qualche parvenza di veridicità. Le impressioni, le prime, che mi avevano vivamente consigliato di stare molto attento se non addirittura lontano, da quell personaggio, le avevo annichilite con l’entusiasmo di quello che stavo iniziando, una nuova vita. Oramai ero in gioco. Avevo iniziato a spedere diversi soldi per finanziare l’inizio dell’attività, nessuno me li avrebbe restituiti se non io stesso con il lavoro che sarei stato capace di generare da quello per cui li avevo spesi.
Arrivai a Zalau, nel mio, triste, appartamento, stanco, sporco ed affamato. Per strada ricordai che avevo comprato delle buste di risotto pronto da cuocere ed appena entrai in casa, misi la pentola sul fuoco, accesi la televisione ed iniziai a sgranocchiare dei biscotti salati, ma non prima di aver aperto una bottiglia di syrah siciliano. Quel risotto alla Milanese, con tutto il suo gusto di coloranti chimici, era delizioso. Ero seduto sul divano del “salotto” di quell’incredibile appartamento, con il soffitto viola il lapadario che, se non stavi attento mentre attraversavo la stanza, ti rompeva il naso, per quanto era basso, ed avevo iniziato a guardare la televisione. Berlusconi imperava su tutti I canali italiani. Io che avevo cercato, pochi anni prima, di alimentare un movimento politico alternativo, che per la cronaca si chiamava “La Rete”, antesignana formula del, ben più efficace, Movimento 5 Stelle, nell’ascoltare quelle notizie e, soprattutto, sentendo l’enfasi con la quale quei giornalisti riportavano le belle gesta del supremo, non potevo far altro che cambiare canale. Al tempo tutti i canali Rai e Mediaset erano in chiaro in Romania. Alcuni avveduti e lungimiranti imprenditori in erba, avevano costellato i loro bloc e quelli limitrofi di un dedalo di cavi coassiali bianchi che portavano in ogni casa il segnale televisivo, prelevato da parabole che, collegate a dei ricevitori equipaggiati con schede pirata, ricevevano tutti i canali del satellite HotBird. Alcuni di loro, pochi, riuscirono a capire che avrebbero potuto rivendere quei segnali non solo ai bloc limitrofi al loro appartmamento, ma a tutta la nazione. E così, qualche tempo dopo, a dir il vero diversi anni dopo, iniziarono a distribuire anche il segnale internet e la telefonia.
Non potevo non pensare al giorno dopo. Avevo organizzato una sessione con i ragazzi della Tex per stabilire come avremmo iniziato a dividere il lavoro con le persone che, nel frattempo avrei assunto. Dopo molti viaggi, incontri, piccoli problemi ed incongruenze, era venuto il giorno in cui avrei iniziato, veramente, la mia nuova attività, la mia nuova vita. Dire che ero eccitato è poco. Pensavo a mio fratello che da diversi anni aveva compiuto un passo importante trasferendosi a Chicago per diventare un chirurgo. Lui ambiva ai trapianti di organi, io ad assemblare dei quadri elettrici in Romania a Bozna. In essenza la stessa cosa, più o meno. Non potevo dimenticare i miei colleghi della banca dove avevo lavorato diversi anni a Padova. Mi avevano giudicato, tutti, nessuno escluso, un pazzo. I miei amici, anche se molti non me lo avevano confessato, avevano la stessa opinione ed alcuni erano convinti che avessi un motivo, solo un motivo sentimentale per essermi deciso a migrare, o qualcosa del genere. Solo Giorgio aveva veramente capito qualàera làimpulso che mi aveva spinto a rinunciare a praticamente a tutta la mia normale esistenza di cittadino padovano e di andare lì a Bozna, vicino a Zalau in Salaj in Romania.
Emil aveva raggiunto Bozna molto presto, ma io ero già lì da un paio d’ore almeno. Avevo fatto costruire dei tavoli da lavoro ed avevo sistemato delle attrezzature su di essi, ma ancora non sapevo bene come dividere i compiti e soprattutto di quante persone avrei, veramente, avuto bisogno. Insieme decidemmo di utilizzare le foto che avevamo scattato dei quadri elettrici, dopo averle opportunamente divise in zone, al fine di avere un supporto per gli operai. Ogniuno di loro avrebbe dovuto approntare la preparazione di una parte del quadro. Diversamente dall’Italia, dove gli uomini di Paolo costruivano un quadro elettrico partendo dallo schema elettrico, a Bozna, dovevo dividere le attività in modo che fossero più elementari e ripetitive. Non sapendolo stavo adottando le teorie del lean manufaturing, sistema di produzione inventato dalla Toyota almeno cinquant’anni prima e molto in voga presso le società di tutto il mondo. Dopo qualche ora avevamo capito cosa doveva essere fatto. Ci servivano dodici operai, ne avevamo solamente otto, ma a quel tempo, bastava aprire la porta e sarebbero entrate almeno il dopio delle persone di cui avevi bisogno, a chiedere del lavoro. Ogniuno aveva un insieme di attività che non superavano i tre minuti e, collaudi, compresi, potevamo produrre un quadro elettrico completo, in meno di cinquanta. Alla base c’era una serie di preparazioni di base, come il taglio dei cavi elettrici a misura, la preparazione dei componenti per ogni postazione e tante altre piccole attività che avrebbero reso al minimo i tmpi di attesa e, possibilmente, gli errori.
Emil aveva tenuto dei piccoli corsi alle maestranze insegnando tutto quello che avrebbero docuto sapre. Gli uomini erano molto attenti. Su consiglio di Calin avevo preferito le donne per i lavori di assiemaggio e solo due uomini per i lavori che necessitavano uno sforza fisico maggiore. Fu una scelta vincente e, per il periodo che lavorai a Bozna, non ebbi mai nessuna sorpresa negativa.
Continua……