01/07/2019
Tags: #Baraka, #Spettacolo, arte, Timisoara
Nel novero delle possibilita’ di scoprire quello che abbiamo nel nostro io, l’espressione del gruppo Baraka, ma soprattutto del suo leader, Paul, ti mette a nudo senza nessuna possibilita’ di fuga.
Per me e’ molto chiaro, non essendo un critico d’arte, ma un semplice consumatore incallito d’arte, del perche’ moltissima gente li rifiuta inneggiando al sacrilegio e all’ignominia.
Una sola parola, paura.
Paura di doversi confrontare con qualcosa che esite e che continua a voler uscire in sperficie ad ogni pie’ sospinto.
Nei loro lavori non c’e’ violenza, ma cruda realta’ mista a qualcosa che noi, da piccoli, abbiamo dovuto dimenticare. Siamo stati intrisi di pudicizia e di maniere del come dev’essere detto, di come deve ssere esposto, di come deve essere rappresntato il nostro mondo, massacrando, spesso con lacerante dolore, quelle piccole enormi realta’ che vogliono palesarsi ma che non possono perche’ soffocate da quello che non possiamo dire, fare, addirittura pensare.
Il mondo dei Baraka Artist e’ il nostro stesso mondo, quello dove camminiamo, dove sfrecciamo con le nostre auto calpestando il cadavere di chissa’ quale razza di cane precedentemente ucciso da chissa’ quale altro nobile benpensante umano. Ma se quel cadavere gia’ martoriato viene messo in evidenza dai Baraka, allora i criminali sono loro.
Curioso.
E’ l’eterno giro di boa che avviene quando qualcuno rompe gli schemi.
A qualcuno oggi il paragone con Caravaggio e questi ragazzi, ma funzionerebbe anche con Picasso, Van Gogh e tanti altri, e dello shock che procuro’ all’arte ed ai consumatori di arte rinascimentale con i suioi neri accesi e con la crudezza delle sue manifestazioni artistiche, sembrerebbe una follia. Ma allora, come oggi, anche Caravaggio fu definito un Satanista, un pittore del diavolo. Certo ha aiutato il suo temperamento e la sua dissolutezza, ma non puoi essere normale ed essere Caravaggio.
Non puoi essere normale ed essere Baraka.
Gianluca Testa
29/07/2010
Tags: arte, artisti, scultori contemporanei, Ştefan Călărăşanu, Timisora
The Boot - Stefan Calarasanu
“Calzate un bel paio di scarpe ed andate a Parigi”.
In questa frase, forse liberamente tradotta, risiede tutto l’animo ed il coraggio di un uomo che vive d’arte e per l’arte. Le ore trascorrono tra ricordi ed immagini che ricreano emozioni sottili che, qualche volta, abbiamo dimenticato di aver posseduto. Non c’è rischio di cadere in una asettica contrattazione, avulsa dal sentimento che avvolge la ragione di trovarci in questo posto. Nasce spontaneo il desiderio di prolungare il piacere di aver conosciuto Stefan davanti ad un bicchiere di vino, anzi più di uno. Vini generati da terre lontane ma così appropriate nella memoria e spesso nei gesti, da lasciare confusi. Terre Danubiane e Siciliane accomunate da un colore rosso fuoco e dal profumo del vento che, silenzioso e quasi mai invadente, ha percorso le une e le altre valli, rapendo talvolta parole e pensieri, per lasciarli, adagiandoli, sulle fronde di qualche buganville, une liberamente accudite dalla natura madre, altre dalle mani appassionate e martelate di un cultore del traspondere simboli e vuoti di campane sul bronzo tenuto da legno arso ad arte. Parole che hanno trascinato degli uomini diversi ad incontrare i minuti del nuovo giorno, così, senza accorgersi che quello visto, toccato, detto, ascoltato e pensato aveva investito il loro tempo più di quanto programmato. Nessun problema e tra alcune olive in contrasto con una candida formazione conservata e maturata nel ventre di uno sconosciuto animale, è nato un altro sottile legame che, anche per questa volta, ha affrancato lo spirito e la crescente sofferenza del dover accettare il soppruso dell’altrui ignoranza.
Non solo pietra, legno e bronzo ma anche disegni e segni che paiono voler significare qualcosa, ma qualcosa che non ha altro senso se non quello che ognuno vuole immaginare. Non un linguaggio criptico, non sarebbe degno di Stefan, paladino del chiaro e del dichiarato a qualunque prezzo, ma una sequenza di linee che, unendosi o sfiornadosi, contornano abIlmente l’ospite ora ligneo ora bronzeo. Dall’interno della tua campana odo il rumore della punta del tuo martello seguire il filo del tuo pensiero che, indossate le migliori scarpe, passeggia felice dall’Acr de Triomphe fino al Louvre e ritorno.
Gianluca Testa