Retezat
Ricordo l’entusiasmo dei primi passi, dei primi chilometri percorsi, quasi nella completa incoscenza, la prima volta che sono partito per la Romania.
Era il 1993, verso la fine di settembre. Alle spalle oltre dieci anni di banca. Un anno di contratti in borsa che mi avevano denaturato il cuore, nessun affetto attivo, se non conto quelli familiari e di pochi amici.
Allora esistevano le dogane, che, probabilmente, ritorneranno ad esistere tra poco e, gia’ a Pontebba, l’ultima stazione di servizio, Fella, l’ultimo pieno in Italia, l’ultimo caffe’ espresso.
Non so, ma la dizione del cartellone autostradale con l’indicazione della stazione di servizio “ultimo rifornimento in Italia” mi ha sempre lasciato una leggera angoscia.
Di fatto non c’era e, non c’e’, nessuna ragione per cui avrei dovuto fermarmi. La benzina era piu’ cara che in Austria, ma prima non c’era l’euro e con il cambio con lo Scellino Austriaco, sicuramente ci avrei perso qualcosa. O forse no. Ma, leggevo quell’annuncio, come un monito, come un sinistro avvertimento. Non e’ che sono superstizioso, anzi, ma andavo veramente verso l’ignoto, poteva accadermi di tutto. Certo non si trattava di na sedizione tra le belve feroci in savana od in antartico, ma c’era un mitero quasi totale in quello che avrei trovato ed, in parte, anche in quello che volevo cercare, che quell’ultima stazione in Italia, suonava come , un “torna sui tuoi passi, sei ancora in tempo”.
Avevo deciso di smettere di fumare e, come ogni accanito fumatore, trovavo scuse incredibili per continuare a non smettere. Quella adottata per quei viaggi, dato che avrei continuato a sostenere la mia idea, solo quello, di voler smettere di fumare, era quella di mantenere, spento tra le labbra, un mezzo toscano. Si, uno di quei sigari che, per chi non li sta fumando, hanno un odore pestilenziale, ma che per il fumatore rappresenta una delle essenze piu’ soavi e piacevoli dello scibile del tabacco acceso.
Quindi, sigaro in bocca a bordo della mia ultima Golf amaranto a benzina verde, chilomero dopo chilometro andavo incontro al sogere del sole. Ero partito molto presto, credo fossero le 4 del mattino e gia’ dopo Ilz, in Austria, ero entrato in Ungheria dal punto di frontiera di Rábafüzes in Ungheria. Il traffico, dopo Ilz, era veramente scarso, quasi inesistente. Il nascente giorno era limpido ed ancora abbastanza caldo, decisamente un’ottimo tempo per intraprendere un viaggio che, presupponevo, sarebbe durato circa dieci ore.
Avevo deciso che sarei entrato in Romania da un punto di frontiera a nord ovest della Romania, Petea. Non era stata una decisione casuale. Avevo avuto notizie che a Debrecen, sempre in Ungheria, si era stabilito un italiano che avevo conosciuto a Padova. Non era un amico, ma un amico di conoscenti e, figli di quella solidarieta’ iniziale che accomuna i viaggiatori, ci avevano messo in contatto. Ma a Debrecen, per qualche oscuro motivo, non riuscii a rintracciarlo. Inutile chiedere informazioni. Al tempo pochissime persone parlavano inglese ed io, allora come oggi, non hola piu’ pallida idea da dove iniziare ad esprimermi in Ungherese. Per cui eccomi a Csengersima ultimissimo villaggio prima della Romania.
Era passato attraverso Budapest, allora non esisteva la M0, l’enorme circonvallazione che lambisce l’est di BudaPest ed era gioco forza attraversa Budapest ed il suo bellissmo centro. Forse c’erano altre strade, probablmente piu’ veloci e scorrevoli, ma io non le trovai e seguii la carta stradale, non il GPS che allora era solo d’uso militare.
Quando arrivai a Csengersima era gia’ buio. Quel villaggio era completamente al buio, come lo era quella notte senza luna. I pochi cartelli stradali avevano da poco sancito che mancavano poco piu’ di cinque chilometri alla Rumania. Ero quasi arrivato, ma non avevo la piu’ pallida idea di dove sarei arrivato.
Sapevo che a pochi chilometri da Petea avrei trovato una citta’, Satu Mare, che poi avrei scoperto che significa letteralmente “grande villaggio”. Avevo deciso, durante la pianificazione di quel viaggio, che avrei sostato li. Ero sicuro che avrei trovato una sistemazione in un albergo od in qualcosa del genere.
Per il viaggio avevo portato con me una bona scorta di acqua e di cibo. Piucche’ altro affettati e pane da tost per prepararmi dei sandwich al volo da consumare, possibilmente guidando. Il risultato era stato accettabile, un po’ meno per la marea di bricole che avevano inondato il mio sedile ed i miei pantaloni. Il sigaro, durante quei pasti che piu’ che per fama erano stati consumati per combattere il sonno, giaceva nel posacenere della mia GOlf, accanto al supporto del mio Panasonic, il mio primo telefono cellulare GSM. Confesso che, durante il percorso fino a Petea, avevo controllato , di tanto in tanto, la presenza del segnale. Non posso dire che non fossi contento nel constatare che, linea piu’ linea meno, anche se a caro prezzo, avrei potuto comunicare con qualcuno se ne avessi avuto bisogno o voglia.
La sera prima della partenza, avevo cenato con Giorgio, un mio carissimo amico, che oggi purtroppo non c’e’ piu’ e, tra una battuta ed un’altra, mi aveva dichiarato la sua disponibilita’ a venire in mio soccorso semmai ne avessi avuto bisogno. Io, di Giorgio, mi fidavo come di un fratello e, dato che il mio di fratello era in America, l’unico sulla faccia della terra a cui avrei lanciato un potenziale grido di allarme, era lui , Giorgio.
Continua…