Spazio Italia - Radio Timisoara

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24/08/2016

Retezat 8

20160815_113424Nemmeno al seonda notte in Romania era stata piacevole.
Questa volta non a causa della stanza che, tutto sommato, era accettabile, ma per la scoperta della mancanza dell’acqua e del rumore dei motori dei Roman, rimasti accesi tutta la notta nel parcheggio retrostante l’albergo. “Si tengono caldo, prenono i soldi per dormire in albergo, ma dormono in cabina e tengono il motore acceso per riscardarsi. Tanto il gasolio non lo pagano loro”.
Walter con la sua più che fedele assistente Rodica, erano venuti a prendermi come avevano promesso. Tra le discussioni del giorno prima, rientrava anche la ricerca di una possibile locazione per il mio progetto e, Walter, ne aveva in mente una che pensava fosse perfetta. Tra l’altro, aveva telefonato ai due ingegneri elettrotecnici di cui mi aveva parlato il giorno precedente ed aveva fissato un appuntamento per l’ora di pranzo.
“Ma qui non c’è acqua?” fu una delle prime domande che posi a tutti e due, visto che, con enorme disappunto, nemmeno la mattina avevo potuto lavarmi per la sua assenza.
“In effetti questo è uno dei più grandi problemi di questa città, l’acqua. E’ cresciuta talmente in fretta che non sono riusciti a dotarla delle infrastrutture necessarie per cui l’acqua è razionata ed arriva solo un paio di giorni alla settimana per un paio d’ore”. Quindi l’unica cosa da fare, era qualla di informarsi quando erano programmate quelle due ore e, preventivamente, pianificare la propria vita in funzione di quel periodo, almeno fino a quando non sarei riuscito ad affittare un appartamento e, probabilmente, arrangiarmi in maniera leggermente migliore.
Invece di prendere la direzione della città, Walter iniziò la sua corsa verso Cluj-Napoca. Ma alla sommità del monte Meses svoltò a sinistra e si avviò all’interno del bosco. “Non sono che quindici chilometri dal centro di Zalau, ma vedrai che posto. Se potessi lo prenderei per me, ma non c’è abbastanza spazio per quello che voglio fare.” Dopo circa venti minuti percorsi tra valli e boschi, di una bellezza mozza fiato, arrivammo ad un paesino, un villaggio in realtà di pochissime case. Non credo che fossero più di una cinquantina ed, immediatamente dopo una curva sulla destra, svoltò seguendo un piccolo ponticello a destra ed entrò all’interno di una proprietà non recintata.
Il terreno era scosceso e, circa a metà della proprietà, proprio nel centro, insisteva una costruzione in mattoni rossi con un paio di finestre in legno con i vetri rotti e, sul lato lungo, proprio difronte a noi, una tettoria in legno. Tutto attorno alcuni alberi di prugne ed alle spalle una salita che portava alla sommità della collina. Poco distante, non più di centometri, il cartello che indicava la fine del villaggio, Bozna.
Non avevo ancora la più che minima idea di quanto spazio mi sarebbe servito, ma, probabilmente, l’esperianza di Walter, stimolata dalla mia , seppur vaga, descrizione del mio progetto, gli aveva fatto ritenere sufficiente l’area che ci accingevamo a visitare. La porta d’ingresso del piccolo fabbricato era aperta. La pianta non era più grande di cinquecento metri quadrati. L’interno era formato da un unico ambiente, molto luminoso, con il pavimento in cemento. Dall’esterno si accedeva alla parte che, inizialmente doveva essere una sorta di fondazione, che, successivmanente, era stata chiusa per pemettere il ricovero di animali. Questa parte aveva un’altezza poco più alta di un metro ed ottanta ed aveva ogni sei metri circa, pilastri molto grossi, sempre in mattoni. Sarebbe stato difficile modificare quell’ambiente che,oltretutto era anche molto buio oltre ad essere pieno di escrementi di ovini. Il piano terra, invece, sembrava proprio cadere a fagiolo. Certo, c’era molto da fare, bisognava riparare il tetto. Rifare l’impianto elettrico, aggiustare, se non ,sostituire i serramenti, dotarlo di un riscaldamento e di bagni, che, come scoprii prestissimo non erano previsti in nemmeno la quasi totalità delle case del paese. E, neanche a dirlo, non c’era ombra d’acqua.
Ad essere sincero, non avendo ancora l’occhio formato circa le opportunità che avrei potuto trovare in Romania, il tutto, benchè mi apparisse decisamente bucolico, mi dava l’impressione di essere molto complicato da ridefinire ed utilizzare. Non solo era a cuindici chilometri dalla città, ma avrebbe assorbito molte energie prima di poter essere utilizzabile. Inoltre non avevo idea di quanto sarebbe potuto costare. “Credo sia di proprietà del comune. Come puoi vedere lo hanno usato per il ricovero degli animali ed il salone sprastante, per organizzare delle feste di paese.” Di fatto c’erano ancora dei festoni di carta che penzolavano dal soffitto macchiato dalle infiltrazioni d’acqua.
Rodica aveva indossato un vestito rosso fuoco, molto attillato. Non poteva definirsi una bella ragazza, ma aveva una carica di sensualità fuori dal comune e, Walter, sembrava non esserne immune. Ma erano mie illazioni, tra di loro non c’erano effusioni od atteggiamenti tali da poter supporre una relazione in tutti i crismi, in fondo erano solamente affari loro e, qualunque tipo di relazione avessero, pareva assolutamente funzionare. La loro sintonia era praticamente completa. L’una non aveva quasi da comunicare all’altro cosa stesse pensando, si capivano letteralmente al volo.
La proprietà dl magazzino era, effettivamente del Comune di Bozna. Rodica aveva chiesto ad un vicino che si trovava nel giardino della sua casa che, puta caso, era uno dei consiglieri comunali. Molto educatamente, ci fece capire che in quel posto, erano abituati a decidere collegialmente ma che, in ogni caso avremmo dovuto parlare con il Sindaco, il Signor Romitan, per poter convocare il consiglio. Ci volle far sapere, inoltre, che il parere generale della popolazione di Bozna, era quello di trasformare quel posto in un “birt”, una sorta di bar – trattoria, dato che nel paese e nemmeno in quelli limitrofi, esisteva un locale pubblico dove riunirsi, bere un bicchiere, parlare del più del meno ed all’occasione riunirsi per delle celebrazioni collettive di qualunque tipo.
Io, appena Rodica finì di tradurre quello che il vicino aveva appena detto, mi rivolsi a Walter manifestandogli il mio disappunto. Non avrei quasi nemmeno voluto parlare con il Sindaco, dato quello che era il volere popolare e, soprattutto, perché avevo la sensazione che qualcosa non fosse al proprio posto. Walter, non aveva che la sua esperienza da offrirmi e, amichevolmente, ribadì che se fosse stato per lui, quell’occasione non se la lascerebbe scappare.
Quella giornata di settembre era decisamente piacevole. L’aria tersa e la temperatura leggermente frizzante, aggiungevano solamente un tocco piacevole al panorama circostante. C’era una pace, un silenzio quasi irreali, si, credetti che la mia sensazione fosse sbagliata, che avrei dovuto fare mio quel posto. In fondo quei pochi chilometri da Zalau non potevano che essere un vantaggio. Non c’erano altre possibilità di avviare altre attività nella zona e, questo , mi avrebbe dato un vantaggio competitivo sul costo del lavoro inoltre non avrei avuto concorrenza e la fluttuazione del personale, cosa che via via con gli anni sarebbe dibentata una sorta di piaga in Romania, non sarebbe stato un problema. SI dovevo parlare con il Sindaco e vedere come riuscire a risolvere il problema del “birt”.

Continua…

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