Retezat 7
Il tempo era volato. Anche i miei sigari erano finiti, alemno il pacchetto che avevo portato con me, per fortuna ne avevo ancora cinque in valigia. “Senti” mi disse Walter, “visto che devi andare a prendere possesso della tua stanza, noi non abbiamo ancora mangiato ed è già ora di cena, che ne dici se andiamo insieme al tuo albergo e ci magiamo un boccone insieme?” Non potevo sperare di meglio. Inoltre quel “noi non abbiamo mangiato” mi confermò che anche la solerte assistente di Walter era una delle sue creazioni, per così dire.
Di fatto era già buio e la mia giornata era stata particolarmente lunga. Ed onestamente sentivo anche io i morsi della fame. Inoltre sentivo il maledetto bisogno di ditendermi dopo aver, ovviamente cenato, ed essermi goduto un’interminabile doccia calda. Così ci muovemmo, io con la mia macchina e Rodica e Walter con la loro. Attraversammo tutta Zalau, non che ci misimo molto tempo, ed arrivammo al capo opposto alle pendici del monte Meses seguendo le indicazioni per Cluj-Napoca.
Non so perhè ma, il nome e, poi , la città di Cluj-Napoca, mi era sempre piaciuto. Sarebbe stata una molto gradita sorpresa scoprirla e viverla, anche se, a causa di elementi che non erano stati espressione della mia volontà, non riuscii a trascorrere che brevi soggiorni.
Popassul Romanialor, che tradotto significa “il passo dei romani” era situato lungo la strada nazionale, proprio in una larga curva. Difronte ed alle spalle c’era un grosso piazzale dove erano parcheggiati diversi camion Roman. Mezzi dalla cabina enorme ed un cassione piuttosto piccolo.
Walter mi aiutò con la richiesta della camera. Mi accomodai in fretta, portando il mo bagaglio al primo piano e scesi immediatamente per non far attendere i miei due ospiti.
“Se vuoi, domani telefono ad una nostra conoscente, Silvana, che sono convinto non ha un lavoro per il momento e, dato che il tuo Tiberiu, tra un paio di giorni dovrà andare a Cluj a studiare, potrete combinare le vostre necessità in maniera molto elegante. Silvana parla un ottimo italiano, so che ha lavorato con degli italiani in passato ma…” Mentre completava la sua frase, Rodica, dovette dargli un clcio sotto la tavola, perché Walter si allontanò a distanza di sicurezza da lei, prima di completare quello che voleva dire. “…stai attento, è un po’ strana… ma lo scopriarai da solo, non voglio anticiparti di più.” Non ero preoccupato della stranezza della mia prossima, avevo già deciso data la raccomandazione, interprete. L’unica cosa che mi premeva era condensare nel minor tempo possibile il maggior numero di informazioni possibili per poter tornare in Italia ed elaborare un piano d’azione definitivo. Era importante avere informazioni veritiere ed attendibili, non mi importava che Silvana era strana o che avrebbe cercato di sedurmi.Ero più che convinto che non avrebbe avuto nessuna possibilità.
Mentre stavamo mamgiando una ciorba di burta, una sorta di zuppa di trippa di vacca, e bevendo della birra Ursus, credo prodotta ad Oradea nel distretto di Bihor, a Walter venne in mente un’altra persona che avrebbe potuto essermi utile. “Senti, stavo pensando che ci sarebbe un’altra persona, anzi forse due, che potrei presentarti e che, sono sicuro, potranno esserti utili. Anzi potrete esservi utili a vicenda. Sono due soci di una piccola società, la Tex srl, che effettuano piccoli impianti elettrici ed installazioni varie. Loro sono due ingegneri decisamente capaci, ma perennemente squattrinati. Domani ci andiamo”. Non osavo intervenire e, come se non bastasse, continuavo a ringraziarlo per le sue proposte di supporto ed aiuto. Onestamente all’inizio ero rimasto un po’ perplesso ed un tantino preoccupato. Avevo conosciuto Walter da poco più di quattro ore e stavamo parlando come se ci conoscessimo da una vita. Inoltre, lui, mi stava rendendo un servizio insperabile solamente qualche ora prima. Essere introdotto da una persona cheparlava la mia lingua e non soltanto nel senso letterale del termine, in una naziona straniera, dove, tra le altre cose, godeva di un grosso credito, non era una cosa da tutti i giorni. Pechè lo stava facendo? Possibile che non avesse nessun recondido motivo? Decisi di verificare la bontà delle sue dritte prima di decidere se continuare a fequentarlo o meno. D’altronde non ci avrei rimesso molto, anzi, avevo solamente da guadagnarci.
S’era fatto decisamente tardi, sia per me che per i mei ospiti, così dopo averli accompagnati alla loro atomobile e dopo aver preso la chiave della camera, mi fiondai al secondo piano con il sacro desiderio di infilarmi sotto una doccia e buttarmi a peso morto a letto.
Ma non tutte le ciambelle riescono con il buco.
La stanza, benchè molto modesta e poveramente arredata, pareva, a dispetto di quella della notte precedente, pulita e priva di odori insopportabili. Anche se la temperatura esterna era calata notevolmente, forse invogliato da una stellata meravigliosa, aprii, non a fatica, la finestra della camera per cmabiare, comunque, un po’ l’aria. Inizia a spogliarmi ed andai in bagno. Prima di entrare nella doccia, aprii i rubinetti di plastica bianchi, dai quali erano caduti i bollini rosso e blu, ma, non con poco disappunto, nemmeno una goccia d’acqua cadde dal telefono della doccia. Allora aprii tutti i rubinetti del lavandino, ma il risultato non cambiò per nulla. Molto alterato per questo contrattempo, mi rivestii alla bene e meglio ed in inglese, cercai di spiegare alla ragazza della ricezione, che nella mia stanza, probabilmente a causa di un guasto, non avevo acqua in bagno. Quasi tutte le receptio che avrei visto da lì in poi avevano la stessa particolarità. L’addetta di turno era ina sorta di stanzina molto piccola che aveva, come unica apertura per comunicare con il pubblico, una sorta di finestrella bassissima. Quindi, quasi piegato a novanta gradi, cercavo di speare ed iniziare apretendere di avere una camera diversa, dovre avrei potuto , finalmente, fare una doccia, così come speravo da diverse ore ormai. La ragazza continuava a guardarmi con aria stupefatta. Non capiva. Ma io avevo capito che lei non parlava inglese, per cui non capiva cosa le stavo dicendo ed, insistentemente, iniziando ad inalberarmi un po’ oltre il dovuto, le ripetevo sempre la stessa solfa. Ad un certo punto, in un perfetto inglese mi disse, senza mezzi termini. “ma da dove vieni, non lo sai che a Zalau non c’è acqua?!”
Continua…