Spazio Italia - Radio Timisoara

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15/04/2017

Retezat 43

20160918_130110Gianni era tornato a ricaricare. Erano già passati dieci giorni. Paolo cercava di chiamarmi quasi ogni giorno. Aveva bisogno della merce. Gli accordi erano che mi avrebbe mandato del nuovo materiale per iniziare i nuovi quadri, ma, in un certo verso , a ragione, voleva controllare i quadri che erano stati prodotti prima di farmene produrre altri.
Alla fine era fatta, la prima spedizione era partita. Non era stato facile, non tanto produrre i quadri elettrici, quanto sistemarli nel furgone senza le scatole. Avevamo deciso che non aveva senso far viaggiare le scatole metalliche dei quadri elettrici, anche perché’, una volta arrivati in Italia, li avrebbero dovuti smontare per controllarli uno ad uno. Era la nostra prima produzione e, sicuramente, qualcosa di sbagliato ci sarebbe stato.
La questione interessante di quel mio nuovo lavoro era che non esistevano delle vere e proprie regole di come fare le cose. Ovvero, di regole ce n’erano tantissime, leggi a parte, ma come imprenditore ero liberissimo di seguirle o meno, tanto alla fine, chi pagava il conto ero sempre io. Oltre a questo, che non era un aspetto di poco conto, c’era il fatto che il modo di lavorare imposto durante il periodo comunista, non aveva quasi nulla a che vedere con quello che dettava le regole nel “capitalismo” occidentale. Questo significava pure che non avrei avuto la possibilità di trovare degli appoggi professionali tali da poter supportare le mie teorie, più che altro, dettate dal buon senso che, credevo, di possedere. Tutti dipendevano da me, dalle mie scelte. Certo se non erano d’accordo se ne potevano andare, non era un regime, ma se perdevano lo stipendio che pagavo, cosa avrebbero potuto fare? Per cui, nella trappola delle adulazioni per necessità, non avevo scelta, potevo basarmi solo su due fattori. La mia buona volontà coniugata con un presunto buon senso e le risposte di Paolo dopo che avrebbe ricevuto e testato il nostro lavoro. Anche qui potevano esserci dei bubbi di trasparenza, sempre con il senno del poi. Paolo avrebbe potuto dire che la qualità pesima delle nostre lavorazioni lo aveva costretto a rifare quasi completamente il lavoro. Certo non aveva molto senso, ma, sempre con il senno del poi, Paolo non credeva nell’operazione in quanto tale, bensì nella possibilità di spolpare un pollo, io nella fattispecie, che si stava sobbarcando tutti gli oneri di quell’operazione di pseudo delocalizzazione.
Una volta caricato il mezzo, non rimaneva che dare a Laura i documenti da portare in Dogana per l’esportazione, dopo di che’ non mi rimaneva da decidere che cosa fare. Rimanere in Romania fino al prossimo carico di merce, oppure tornare in Italia per qualche giorno.
Tornai a casa, allora la mia casa era in Italia e non avevo nemmeno la minima idea che potesse, un giorno, essere differente. Tornare a Padova, dopo un viaggio di quasi quattordici ore in macchina, era come effettuare un salto nel futuro. Entrare in un Brico center e trovare decine e decine di utensili, cosa impensabile in Romania a quel tempo, soprattutto a Zalau, quasi, quasi faceva venire le lacrime. Il mio animo poco commerciale, non mi fece mai pensare che quella cronica mancanza di fatto, significava una stupenda opportunità. Se avessi sfruttato le mie conoscenze ed avessi investito i miei soldi in una piccola ma solida attività commerciale, magari non a Zalau, ma in un’altra città , a quell’epoca più sviluppata, il mio futuro ed il futuro di molti altri, in Romania sarebbe stato decisamente diverso.
Il tempo volava senza possibilità di rendermi conto di quello che in effetti stava accadendo. Ovviamente il giorno dopo l’arrivo a casa andai a vedere il frutto del mio lavoro che era appena arrivato nel capannone di Paolo. Sul retro di ogni quadro elettrico avevo fatto scrivere, con un pennarello, indelebile, il nome delle operaie che lo avevano assemblato. Quei nomi sono ancora nel retro di quei quadri elettrici, ovunque siano e, nessuno, saprà mai a chi appartenevano quei nomi. Il motivo di quella scelta era che avevo bisogno di un sistema semplice, ma efficace per identificare, tracciare, direi oggi, il lavoro di ciascun operaio. Lo scopo era chiaro, volevo responsabilizzarli, renderli partecipi della possibilità che un errore avrebbe potuto costare dei soldi che loro non avrebbero potuto corrispondere. Fu come fu che quell’accorgimento, apparentemente stupido, ebbe un gran risultato, tant’è che tutti gli operai, anche se non ce ne sarebbe stato assolutamente bisogno, vollero partecipare alle operazioni di carico. Era quasi come se volessero salutare un figlio che parte per un viaggio senza ritorno.
Paolo non si aspettava la mia visita, non così presto. “Sai non posso mandare altri componenti per le prossime tre settimane. Poi ci saranno le feste ed i miei clienti non vogliono aumentare il loro magazzino, per cui bisognerà decidere che cosa fare con la gente in Romania.”
“Ma tu qui stai tenendo un sacco di lavoro, manda qualcosa tanto per avere una sorta di continuità. Non posso mandare a casa tutti adesso” Nessuno dei due aveva torto. Paolo aveva un problema che, probabilmente, non aveva ben considerato all’inizio dell’operazione. In Italia c’erano i sindacati e, giustamente, non avrebbe potuto, semplicemente, licenziare il personale. Non dall’oggi al domani, senza un piano e senza, soprattutto, la certezza che il piano Romania, avrebbe funzionato. Dalla mia parte, pur comprendendo i motivi che frenavano il mio socio sgrammaticato, non potevo non considerare tutto lo sforzo sia economico che fisico, che avevo investito in quei primi mesi di lavoro in Romania. La parte dolente era che non avevo io il coltello dalla parte del manico. La traduzione di quella breve ma intensa discussione era che fino all’anno prossimo, non ci sarebbe stato nessun nuovo carico, sicuramente nessun nuovo carico consistente.
Quelli sono momenti che puoi provare solamente quando sei solo, quando lavori per te stesso e, dalle tue scelte o quelle di altri, contro le quali non hai armi, dipendono molte altre persone alle quali hai promesso qualcosa che, purtroppo, non puoi mantenere, per lo meno , non puoi mantenere fino in fondo. Il peso di quella situazione stava diventando sempre più grande. Non ero il tipo che si nasconde dalle proprie responsabilità, ma appena poche ore prima ero partito da Bozna, lasciando i “miei” operai fiduciosi, perché io lo ero, di ricevere un nuovo carico di materiale, al più tardi, dopo una settimana ed invece avrebbero dovuto aspettare più di un mese. L’aggravante era che quell’attesa avrebbe compreso anche le vacanze di Natale, forse le prime dopo la resa del regime comunista, quando quelle persone, forti del nuovo contratto di lavoro con “l’italiano”, con molta probabilità avevano iniziato a pensare che, quell’anno, avrebbero potuto trascorrere delle festività più serene. Invece nulla di tutto questo.
“Voglio rivedere le fatture che mi hai emesso per gli utensili che mi hai mandato, mi sembra che ci siano dei valori esagerati”. Paolo, ovviamente per nulla stranito, fece finta di non capire. Ma non lasciai la presa. “A meno che non mi mostri le fatture con le quali hai aqcuistato quella merce.” “la miglior difesa è l’attacco. “Ehi, ma non ti fidi di me? Cosa credi che ti ho mandato porcherie in Romania. E’ tutta roba di qualità industriale, costa un sacco di soldi sa’” “Non lo metto in dubbio, ma, visto che siamo trasparenti l’uno all’altro, fammi vedere le fatture di acquisto.”
Alla fine arrivammo ad un compromesso. Lui le fatture le aveva mandate dal commercialista, così disse, ma avrebbe applicato lo sconto che si era ‘dimenticato’ di applicare all’inizio, il trentacinque per cento. Chiudemmo al cinquanta, ma non sono convinto che abbia fatto un buon affare lo stesso. In ogni caso, l’accordo prevedeva, che non lo avrei pagato sin tanto che lui non avrebbe pagato le fatture delle lavorazioni spedite e che, dato il fatto che eravamo soci e che il mio lavoro non lo pagava nessuno, le eventuali, quasi certe, secondo lui, problematiche qualitative, non avrebbero comportato un costo per la “nostra” società in Romania. Beh almeno questo lo avevo ottenuto. Ora non restava che tagliare la testa al toro, prendermi qualche giorno per sistemare piccole questioni in sospeso in Italia e tornare in Romania per dare la lieta novella ai miei uomini. In ogni caso, da imprenditore in erba, decisi che non avrei licenziato nessuno, me lo potevo ancora permettere.
Continua….

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