Retezat 4
Avevo una grande curiosita’ di conoscere il prezzo della benzina, ma non avevo intenzione di restare in coda qualche ora per scoprirlo, per cui continuai ad andare avanti verso il centro di Satu Mare. La piazza centrale, o, per lo meno quello credevo che fosse, era quasi completamente al buio. Solo una lampada appesa, in malo modo, ad un lampione stradale accanto ad una scalinata, stava offrendo i propri servizi. Era poca, decisamente poca la luce e nessuna insegna luminosa. Gli italiani in dogana mi avevano assicurato che in centro citta’, nella piazza, dove presumibilmente mi trovavo, c’erano due hotel. Il modo in cui me lo avevano detto mi era sembrato un po’ canzoniero. L’impressione non era poi cosi’ sbagliata, se l’interno dell’immobile rispecchiava il suo esterno. Di fatti quel lampione era proprio difronte alla scalinata che portava all’ingresso del ristorante dell’hotel Aurora.
Ho viaggiato molto ed ho dorminto in molti hotel in giro per il mondo. Non tutti erano da raccomandare agli amici, per dire cosi’, ma l’Hotel Aurora di Satu Mare, oltrepassava, di molto, non solo la mia immaginazione, ma, sop[rattutto, il mio grado di sopportazione. Passi per i gradini esterni di cemento, praticamente quasi completamente rotti, passi per l’ingresso fatiscente dove solamente una lampada di un lampadario enorme era ancora funzionante, passi anche per l’addetta alla reception che riusci’ ad estorcermi dieci marchi tedesci asserendo che non c’erano camere disponibili, anche se, a quell’ora di notte, la rastrelliera delle chiavi era piena di tutte le chiavi delle camere, ovviamente libere. Passi per l’ascensore che, una volta entrato per raggiungere il terzo piano di quella costruzione orribile, inizio’ a vibrare senza sosta. Passi anche la porta di compensato della mia camera ed il frigorifero di dimensioni uguali ad un frigorifero da cucina usuale ed al bagno dove mancavano la quasi totalita’ delle piastrelle e che, l’assenza del telefono della doccia aveva lasciato un tubo nero che, a prima vista mi era sembrato un serpente. Ma quando posi piede nella camera e constatai che, di fatto, il letto era stato solamente riassetttato e che le lenzuola erano sporche e l’odore della camera era impregnato di una cozzaglia di puzze ataviche che avevano intriso la moquette, completamente macchiata, che si trovava sul pavimento e, come se non bastasse, anche sulle pareti fino ad un metro di altezza, bhe allora decisi che il giorno dopo, all’alba, avrei ripreso la mia automobile e sarei ritornato a casa mia.
Tale decisione fu rafforzata anche dal fatto che, nonostante le mie dimosranze alla reception, l’unica cosa che riuscii ad ottenere fu un’altra camera, che se non peggio era come la precedente. La stachezza stava, comunque, prendendo il sopravvento e, completamente vestito, dopo aver cercato di lavarmi in quella vasca che piu’ che in un bagno di un albergo avrebbe dovuto trovarsi in una discarica illegale e, dopo aver sistemato il mio asciugamano, prudenzialmente messo in valigia, sulla poltrona della camera, riuscii a dormire per qualche ora.
Al mattino seguente, molto presto, credo che fossero le 5 di mattina, ma il mio orologio segnava ancora l’orario italiano, ovvero un’ora indietro, mi alzai dalla poltrona cercando di non urlare per il dolore alla schiena. La mia camera, se cosi’ poteva essere definita, aveva un balcone. Durante la notte avevo tenuto una finestra aperta nel tentativo, parzialmente riuscito, di mitigare l’olezzo di stantio di cui era pervasa quella stanza, per cui nel tentativo di chiuderla, dato lo stato dei serramenti, dovetti scostare la tenda e fu cosi’ che vidi la piazza dov’ero arrivato poche ore prima nella completa oscurita’, alla luce del sole di quella giornata splendida. L’aria era tersa, asciutta, non c’era la minima ombra di smog. Il cielo di un azzurro intenso, cristallino, difficilissimo da scorgere nella mia citta’ di residenza, Padova. Al centro della piazza un parco con dei platani secolari. La piazza circondata da palazzi antichi, solo il mio hotel era di recente costruzione, anche se sembrava molto piu’ vecchio di tutti gli altri palazzi messi insieme. Nonostante lo stato disastroso degli intonaci e degli infissi, si vedeva benissimo che quel posto aveva dovuto godere , in altri tempi, sicuramente prebellici, di un fasto diverso e di una cultura ben lontana dal permettere che un ospite di un albergo, per giunto straniero, venisse accolto come si puo’ accogliere una scrofa in un porcile. Certo, fino a quel momento, i miei “cugini” romeni, non avevano fatto una bella figura. L’ingresso in casa loro era stato un esempio di tutto quello che non deve essere fatto nell’accogliere un ospite. La dogana con il dichiarato scopo di “guadagnare” qualcosa, qualunque cosa. Le strade disastrate, l’accoglienza nell’albergo e cosi’ via erano grossi punti negativi che, al momento, non sapevo come avrei potuto superare.
Ma quella giornata era fantastica. Sembrava che mi invitasse a non curarmi di quanto mi era accaduto in quelle poche ore di permanenza in Romania. Sembrava fosse un chiaro invito ad andare avanti a non abbattermi alle prime difficolta’. Certo, avevo percorso oltre mille chilometri, che in fondo non sono molti, ma ero entrato in un altro mondo. Io ero, sono curioso, volevo vedere che cos’altro mi avrebbe offerto quel Paese, il tempo era bello, addirittura stupendo. La colazione non era inclusa nel prezzo della camera, che, nonostante quello che si poteva pensare , non era per nulla a buon mercato. Certo, in realta’ avrebbero dovuto pagare me per essere riuscito, stoicamente, a rimanere una notte intera in quel posto, ma la regola discriminava gli stranieri dai rumeni. Noi dovevamo pagare in valuta ed un prezzo che era sensibilmente piu’ caro di quello che avrebbero pagato i nostri cugini. Corretto o no che sia, era cosi’ e, come avrei scoperto molto presto, davanti al soldo, “banu”, non c’era discussione che teneva e, ancora oggi, tiene. Colazione frugale, ovviamente niente espresso o croassant, pane, pomodori ed una omelet con alcune fette di un salame che, onestamente, aveva un colore veramente poco invitante. Ma avevo una fame da lupo. Mi ero alimentato con un paio di panini per tutto il viaggio del giorno prima e, primo punto a favore, oltre al tempo splendido, le uova avevano un sapore delizioso. Avevano il sapore delle uova dell’orto in campagna. Favolose e non era solo la fame a dettare il moi giudizio. La cameriera che serviva ai tavoli, ma eravamo solo due ospoti a colazione, parlava solo rumeno. Era una signora sui quarant’anni, molto ben portati. Indossava un grambiule nero, sicuramente non di cotone, ma di qualche miscuglio sintetico ed aveva una brutta cicatrice proprio sotto al mento, apparentemente provocata da una scottatura. Non capendo cosa le chiedevo, volevo semplicemente un succo di arancia e delle fette di limone da mettere nel the, mi continuava a ripetere “sunt serioasa”. Non capivo cosa c’entrasse con il mio succo d’arancia il fatto che lei, per quanto potessi capire io, fossse una persona seria. Sempre che, “sunt serioasa” volesse effettivamente significare quello che avevo capito. Questo rimase per me un mistero per diverso tempo.
Di nuovo per strada. Giornata stupenda per iniziare una nuova vita. Tempo ideale per iniziare a scoprire i propri limiti, sempre che esistessero.
Il traffico in citta’ era quasi inesistente. Qualche Dacia, alcuni camion Roman, solo uno inquinava di piu’ di un’intera flotta di tir e tante buche. Direzione Cluj-Napoca, ma sosta programmata a Zalau nel distretto di Salaj appartenente alla ben nota area della Transilvania.
Continua…