Spazio Italia - Radio Timisoara

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24/10/2016

Retezat 29

Difficile percorsoAnche se, apparentemente, Maria era molto meno espansiva di Liana, mi era molto chiaro che le due donne, avevano molto in comune. Entrambe erano passate da una realtà carica di regole opprimenti ad un nuovo mondo ed, entrambe, si erano attivate per guadagnare un ruolo nella nuova società. Entrambe uscivano da storie sentimentali, quanto meno complicate, nessuna delle due aveva una relazione, per così dire, tradizionale, ma, tutte e due, erano capaci di gestire egregiamente i loro spazi, di qualunque ambito si trattasse, senza timori o remore di qualche tipo. Erano capaci di districarsi nel dedalo di trappole ed insidie generate dalla caduta del sistema e, inoltre, erano capaci di trarne vantaggi che, probabilmente, altri non erano capaci di ottenere. Questo non significava che approfittavano a man bassa di quello che la Romania stava “offrendo” in quel momento storico irripetibile, ma che erano capaci di trovare soluzioni Smart a problemi, spesso, creati ad hoc da personale dello Stato decisamente poco affidabile.
Passai una giornata piacevole con Maria, la quale mi condusse, dopo le mie non poche insistenza presso quello che lei riteneva uno dei migliori ristoranti di Bucarest. “Maria, mi sento decisamente a disagio. Mi hai scarrozzato per tutta la mattinata, hai risolto un problema, per cui non avrei saputo nemmeno da che parte iniziare, in poco meno di un’ora, sei qui con me che mi stai spiegando aspetti della mentalità locale che, onestamente, non avrei modo di conoscere se non spendendo moltissimo tempo a contatto con persone di svariati livelli sociali e non vuoi che ti corrisponda nessun onorario?” La sua voce, resa roca dall’innumerevole quantità di sigarette aspirate senza tregua da chissà quanto tempo, evocava la solita risposta “Sei un amico di Liana, Liana è la mia migliore amica, non mi devi nulla” Il nome del posto era ‘Aquarium’. Ci accomodammo ad un tavolo vicino ad un enorme acquario, appunto. Ordinammo un ottimo risotto ai funghi porcini, veramente ben cotto e decisamente delicato. Maria ordinò una bottiglia di “Ribolla Gialla”, un vino che le ricordava la sua relazione con un uomo del veronese e che lei adorava sorseggiare in piazza Bra tra un momento trascorso con lui ed una lunga pausa durante la quale, il suo uomo, espletava altre incombenze. Non potei non confrontare il locale, il cibo ed i camerieri con quello che avevo a disposizione a Zalau. Fu impossibile non provare un profondo sentimento di amarezza al solo pensiero che, da lì a poche ora, fintanto che non avessi trovato un appartamento dove poter preparare qualcosa da magiare, la “Crama” di Zalau era l’unica possibilità che avevo a disposizione per alimentarmi.
Più si avvicinava il momento di tornare alla stazione dei treni e più mi sentivo angosciato. Un’altra notte trascorsa su quella improponibile giostra che era il vagone letto che mi stava aspettando, rappresentava di già un motivo per imprecare, anche se, per il momento, silenziosamente.
Avevo un’alternativa che si chiamava aereo, ma se i treni della rinata Repubblica rumena erano nello stato in cui erano e ne avevo testato io stesso lo stato, figuriamoci che cosa dovevano essere gli aerei destinati al traffico interno. Avevo sentito, ma ancora non avevo avut modo di accertarmene di persona, che la flotta della Tarom, la compagnia di bandiera rumena, quali aeronavi destiate ai voli domestici, usava degli Antonov 24B, una sorta di bimotore ad elica, di emanazione russa, progettato e commercializzato negli anni sessanta, che avevano una lontanissima somiglianza con i, decisamente, più nuovi ed affidabili, ATR42. Non ho mai avuto paura di volare, ma l’esperienza del treno aveva minato alla radice la mia fiducia in qualsiasi altro mezzo di locomozione rumeno a cominciare dalle automobili Dacia per finire agli aerei passando per i treni. Dopo tutte queste considerazioni, nonostante Maria volesse convincermi di andare all’aeroporto Baneasa, lì a Bucarest, per tornare a Cluj-Napoca con un ben più veloce e ‘comodo’ mezzo di trasporto, cosa che lei usava sempre per andare a trovare la sua amica Liana, non riuscii a cambiare idea, per cui, pronto ad affrontare un’altra notte da incubo, dopo aver salutato Maria, me ne andai alla ‘Gara de Nord’ per prendere il treno e tornare a Cluj-Napoca.
La giornata era stata decisamente proficua. Non avevo perso tempo e, come mi aveva anticipato Liana, Maria aveva risolto tutto in pochissimo tempo. Dal momento in cui avevo preso possesso del mio certificato, avevo già iniziato ad accelerare tutti i mei pensieri e tutti i miei calcoli su quanto avevo ancora da fare prima di poter, decisamente asserire, che avevo iniziato a lavorare.
Paolo, mi aveva promesso che non appena gli avessi detto che ero pronto, avrebbe preparato il primo carico di merce da spedire in Romania per iniziare la produzione e, onestamente, stava scalpitando per poter iniziare quanto prima. Ma a Bozna non avevo ancora potuto avviare nulla di concreto. A parte il contratto di affitto che ero riuscito ad ottenere nonostante le richieste di alcuni locali di utilizzare quel posto per aprire un birt, grazie alla personalità indiscussa della signora anziana che aveva respinto al mittente tutte le obiezioni di quelli che sostenevano l’idea del birt, non avevo ancora nulla.
Mi serviva l’autorizzazione dei pompieri e, prima di quella, ottenere i permessi per ristrutturare quello che era necessario riparare per poter rendere il locale non solo abitabile ma atto a ricevere un numero di persone che, secondo i miei calcoli iniziali, non potevano essere meno di quaranta. Quindi andava rivisto il tetto, rifatto il contro soffitto, l’impianto elettrico e risolto il problema del riscaldamento. Il locale ne era completamente privo. Dulcis in fundo non c’erano i bagni e, di conseguenza, né scarichi né acqua. Conoscevo benissimo delle mancanze e delle necessità. Non avevo ancora ben chiaro come e, soprattutto, a chi rivolgermi per eseguire tutti quei lavori, ma confidavo nel supporto di Walter e, sicuramente, dei miei futuri soci Emil e Calin.
La mattina seguente, dopo aver rispettato perfettamente tutte le mie più nere previsioni circa lo svolgimento del viaggio, arrivai a Cluj-Napoca. La mia macchina era parcheggiata nei pressi della stazione centrale che si trovava esattamente sulla strada che mi avrebbe portato a Zalau. Avrei voluto andare a salutare Liana, soprattutto per ringraziarla ancora per avermi presentato Maria e, soprattutto, per avermi descritto come un suo amico, cosa che aveva innescato un comportamento fraterno nei miei confronti da parte dell’amica di Bucarest, ma avrei dovuto attraversare tutta la città e, sicuramente, non sarei riuscito a rifiutare le insistenze di Liana a restare a pranzo a casa sua, per cui la chiamai da un telefono pubblico che si trovava in stazione e, poco dopo, ripartii alla volta di Zalau.
Non resistetti alla tentazione, una volta uscito da una località il cui nome scaturiva sempre delle, taciute, ilarità, “Topa Micã”, di scendere dalla macchina ed ammirare il panorama che, quelle splendide colline rumene, mi stavano regalando. L’aria era frizzante, pulita, il cielo cristallino ed i colori della natura si stavano arricchendo di tutte le tonalità che l’autunno era capace di immaginare. Uno spettacolo che, sicuramente, avrei goduto anche da Bozna, una volta che avrei avuto un po’ più di tempo.
Venendo da Cluj-Napoca, deviando a Romaniaşi verso il monte Meseş, a poco più di venti cinque chilometri sa Zalau, avrei raggiunto direttamente Bozna. Avevo un desiderio irrefrenabile di rivedere quel posto, soprattutto perché volevo ripetere delle misurazioni e tracciare uno schizzo per determinare, esattamente, quanti metri quadrati avevo a disposizione e dove avrei potuto costruire i bagni, la fossa imof per lo scarico dei bagni.
Ogni volta che mettevo piede a Bozna, forse a causa del paesaggio e della pace che quell posto emanava commisurato con l’entusiasmo misto all’eccitazione di quello che stavo facento, mi sentivo bene. Se chiudevo gli occhi per un solo istante, vedevo la mia creazione pulsare di vita propria. Gente che veniva al lavoro, merce che entrava e prodotti che uscivano per essere spediti. Una sorta di essere vivente che avrebbe preso forma dale mie idee e dale mie forze, con l’aiuto delle persone che mi stavano accanto e di quelle che avrei cincontrato durante il mio percorso. Certo, adesso c’era silenzio. Il piano al livello del terreno era ancora pieno di sterco degli animali che erano stati ricoverati durante l’inverno, non c’era la luce e nemmeno l’acqua, ma era un posto incantevole., Era il posto dovre avrei profuse tutti I mei sforzi per arrivare al mio traguardo. Mi guardavo ogni singolo mattone, ogni punto delle pareti sia esterne che interne, si, sarebbe diventata la mia piccolo fabbrica, la mia creatura.
Continua…

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