Spazio Italia - Radio Timisoara

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28/09/2016

Retezat 25

img-20160921-wa0018Se ho imparato qualcosa dalle mie esperienze Rumene, quella è che non ha assolutamente nessun senso combattere contro le abitudini, soprattutto se sono stupide. Avrei potuto solamente decidere di non versare il capitale sociale e, di conseguenza, abortire tutto il mio progetto sul nascere, ma non sarei riuscito a convincere quella cassiera che, quella richiesta era completamente stupida. Come se non bastasse, convinta che non avessi trascritto correttamente tutti i numeri di serie, prima di apporre il timbro della banca, incassare i soldi e ridarmi la distinta di versamento, quale prova dell’avvenuta operazione, si mise a controllare, una ad una, tutte le serie delle cento banconote. Quest’operazione durò oltre un’ora. Non potei fare null’altro se non rassegnarmi ed attendere. Il quadro era completo. Genuflesso davanti allo sportello, con quell’essere abnorme che sembrava godesse nel sentire la mia irritazione, stanco e provato e preoccupato per il resto delle operazioni che dovevo ancora concludere prima di riuscire ad omologare la mia società. Non credo di aver fumato meno di dieci sigarette, nell’attendere che quel prototipo di femmina terminasse la sua ignobile verifica. Allora e fino a pochissimo tempo orsono, in Romania era impossibile trovare un posto dove non si fumasse. Nonostante fossi un fumatore accanito, la quantità di fumo presente sia nei locali che negli ambienti pubblici, quali tribunali, banche, dogane ed altri ancora, era talmente elevata, che rendeva l’aria irrespirabile anche ad un tabagista qual ero anch’io.
Uscire da quella banca fu come una sorta di liberazione. Mancavano pochi minuti alle quattro e mezza ed iniziava a diventare buio. Ero stanco, nemmeno avessi portato chissà quante carriole di sabbia da una parte all’altra di Cluj-Napoca ed avevo una fame da lupi. Non so se era stata l’angoscia di non riuscire a terminare quella stupida operazione di deposito o se era a causa dell’aria di Cluj-Napoca, ma fatto era che mi sarei mangiato un capretto iniziando dalle corna. Mi rendevo conto che avevo mangiato lautamente da poche ore, ma non potevo farci nulla, avevo fame. “Liana, non c’è un ristorante italiano a Cluj-Napoca?” La risposta era stata “Maestro”. Non avevo perso tempo, anche se Liana doveva assolutamente andare a chiudere il suo atelier.
Il Ristorante si trovava al primo piano di una casa costruita in una strada a poche decine di metri dal Tribunale. Il menù era decisamente invitante, ma, nonostante morissi dal desiderio di un buon piatto di pasta, scelsi un filetto al pepe verde ed un’insalata mista. “Quando sei stata in Italia l’ultima volta?” Liana era sempre sorridente, ma iniziare a raccontarmi del suo ultimo viaggio la fece diventare radiosa. Amava l’Italia e, probabilmente, lì, aveva vissuto anche qualche avventura galante. Nell’attendere il filetto ed il piatto di penne all’arrabbiata per Liana, finii completamente il pane che la cameriera, una bruna veramente carina, ci aveva portato a tavola. Il Risultato fu che tutta la fame che avevo dichiarato, in realtà, svanì subito e, lì capii, che si trattava di nervosismo e non di fame. Nel mio animo sapevo che stavo giocando la partita con la “P” maiuscola. Non avevo paracadute di sorta. I soldi che avevo risparmiato durante il mio anno di private banker, non erano infiniti, anche se si trattava di un discreto gruzzolo. Tornare in Italia con le pile nel sacco, non era un’opzione, questo era certo. Non era un problema di orgoglio, per lo meno, non solo di orgoglio. Era in gioco il mio futuro, la mia vita. Mi era stato subito chiaro che ogni ora che trascorreva dal momento in cui avevo deciso quale sarebbe stata la mia strada, rappresentava un ulteriore mattone per costruire il mio sogno, non avevo un piano B. Ogni piccola defezione, ogni piccolo intoppo, ogni singola azione che per qualche motivo non andasse o sembrava non andasse nella giusta direzione, mi accresceva uno stato di ansia occulta che, fino a quando non riuscii a comprenderne il meccanismo, si trasformava in fame. Liana, da persona intelligente quale si era dimostrata sin dall’inizio, credo che lo avesse capito e, forse per questo, si prodigava in rassicurazioni che tutto sarebbe andato per il meglio e che non dovevo arrabbiarmi a causa dell’indolenza di alcuni rumeni. In realtà, qui lo dico e qui lo nego, la mia anima siciliana, nella mia esistenza rumena, mi aveva aiutato non poco. Anche in trinacria c’è tempo per compiere un’azione, non è necessario farla subito. È importante il tempo che si spende al caffè come quello che si impegna per considerare qual è la strategia migliore per abbordare una ragazza per strada. Le questioni on si affrontano con fretta, vanno ponderate, pensate e riponderate e ripensate. Il pubblico non appartiene a tutti, non è un bene comune bensì è terra di nessuno dove le cartacce possono svolazzare senza problemi ed i mozziconi delle sigarette trovano la loro naturale dimora. Chi ha raggiunto il traguardo del posto pubblico è arrivato. Inoltre si sente una sorta di padre eterno, dato che ha il potere del timbro, può decidere se aiutarti o meno, non sta svolgendo un servizio pubblico, lui è lì e gestisce la res publica come fosse la sua personale. Non mi era facile accettare queste ragioni quando ero in vacanza in Sicilia, ma ne capivo i meccanismi e, gli stessi, li ritrovavo, quasi identici, in Romania.
“Senti, si è fatto tardi. Per tornare a Zalau hai bisogno di almeno un paio d’ore di macchina e sei stanco, perché non rimani qui, tanto, domani, dovresti ritornare per omologare le modifiche della società.” In realtà avevo già messo in programma di rimanere a Cluj-Napoca quella notte e, forse, anche un altro paio. Mi era abbastanza chiaro che non sarei riuscito a concludere l’operazione del trasferimento delle quote della società in un solo giorno. “Liana, si certo, ci avevo già pensato. MI sai indicare un albergo dove posso alloggiare?” “Non ti devi preoccupare di questo, io ho un altro appartamento, perfettamente ammobiliato e pulito, dove puoi rimanere quanto tempo vuoi.” Dopo le naturali obiezioni e le contro obiezioni di Liana che, giustamente, considerava che essendo vuoto non c’era nessuna ragione per cui andassi a spendere dei soldi per una stanza in un albergo, cedetti alla sua gentilissima offerta e, come per suggellare quel tassello di amicizia che avevamo costruito anche in quell’occasione, mi propose di andare a fare quattro passi in centro città.
La serata era stata piacevole. Liana aveva incontrato una sua amica, Anca, e con lei eravamo andati a bere qualcosa in un locale in centro che si chiamava “Diesel”. Era veramente un altro mondo rispetto a Zalau. Non mi sembrava nemmeno di essere in Romania. La gioventù che frequentava il locale era allegra, la musica piacevole e la birra decisamente buona. Anca era simpatica. Non parlava italiano, ma in compenso parlava fluentemente inglese, tedesco, francese ed ungherese. C’era da sentirsi umiliati. Era spigliata, allegra e molto interessante. Lavorava presso una società francese che produceva cemento in qualità di legale. Incrociammo gli sguardi almeno una decina di volte, ma decisi di non abboccare a quell’amo, dato che avevo capito che Liana se ne sarebbe data a male. Non avevo nessuna velleità nei suoi confronti, non solo perché non era il mio tipo, ma soprattutto perché, oramai era chiaro, era diventata e, sarebbe stata sempre di più, una mia importante collaboratrice. Per cui, la mia regola numero uno, non mischiare lavoro ed altro, era più che mai valida. Feci un po’ di fatica a farle capire, quando, più tardi, mi accompagnò nell’appartamentino che mi aveva designato, che non era il caso che si fermasse con me quella notte. Non volevo offenderla per cui usai tutta la mia più complessa diplomazia, ma alla fine riuscii a farle capire quello che volevo che capisse senza che si offendesse. Non potevo permettermi di perdere un aiuto così valido, cosa che sicuramente sarebbe accaduta se, malauguratamente, avessi capitolato difronte alle sue, nemmeno tanto velate, avances.
Continua…

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