Spazio Italia - Radio Timisoara

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13/09/2016

Retezat 21

ratezatLaura, a cui avevo telefonato, non senza difficoltà, prima di partire, era riuscita a prenotarmi una camera nell’albergo che si trovava in città, il “Meseş” che, a detta di Walter, era il migliore in assoluto. È proprio vero che è tutto relativo.
Ritrovarmi sulle strade che, pochi giorni prima, avevo percorso cercando di assorbire tutti i particolari possibili, aveva un non so che di speciale. Cercavo di ricordare degli angoli, le case, i pali della luce con i nidi per le cicogne sulla loro sommità e, ovviamente, le buche nell’asfalto consumato. Il mio grado di eccitazione non era cambiato per nulla. Certo, ormai conoscevo molto, incredibilmente di più di quello che potevo immaginare di sapere prima di arrivare in Romania la prima volta, ma ero convinto che mi mancassero, ancora, moltissimi tasselli, che avrebbero potuto rendermi più tranquillo. Di fatto non potevo dire di essere preoccupato, non so se fosse incoscienza o coscienza delle mie capacità. Quello che posso dire è che sapevo che avrei affrontato tutte le situazioni cercando di utilizzare tutta la mia buona volontà e tutte le conoscenze di cui disponevo. Ero convinto che alcune difficoltà sarebbero state figlie di imprevisti o di errori che avrei sicuramente commesso, ma sapevo anche che, senza ombra di dubbio, tutto quello che avrei svolto in quel Paese, l’avrei fatto in totale e completa buona fede.
C’era una velata sensazione di déjà-vu che mi stava assecondando da quando avevo messo il primo piede in Romania, ma ancora non riuscivo a delimitarne i confini. Era come se, inspiegabilmente, una parte di me sapesse molto bene come comportarsi in situazioni, che ovviamente, non avevo mai incontrato prima. Una prima prova l’avevo avuta nella scuola mentre mi accingevo a parlare a quelle persone che si aspettavano un’opportunità per migliorare il loro stato. Sentivo una grande, enorme responsabilità e, nemmeno per un momento, mi aveva sfiorato l’idea che se non fossi riuscito nel mio intento, beh, poco importava, tanto potevo sempre tornare in Italia. Ero e sono una persona molto orgogliosa e fiera del proprio operato e, come tale, non avrei preso alla leggera nessuna decisione, in nessun caso. Ma la mia sensazione andava oltre, mi sembrava che potevo interagire con le persone che incontravo, in maniera molto lineare e semplice, anche se, allora, non capivo praticamente nemmeno una parola di quello che sentivo.
Il puzzo del combustibile della centrale di Zalau mischiato con i veleni della fabbrica di pneumatici, mi accolsero, come mi avrebbero accolto per oltre due anni, una buona decina di chilometri prima di arrivare in città. La bellezza dei dintorni di Zalau era violentata dalle costruzioni asimmetriche, quasi messe lì a casaccio, che salutavano i viaggiatori. Prima prati, vallate e boschi di una bellezza incommensurabile e poi quell’apoftegma che riportava, chiunque stesse arrivando, alla realtà.
Spensi la mia automobile nel parcheggio dell’albergo Meseş. Le ultime note di “First of Fifth” avevano reso quasi irreali gli ultimi chilometri. Adoravo quel pezzo dei Genesis. Tom Banks aveva magistralmente creato una pietra miliare nelle mie convinzioni musicali e con il suo continuo cambio di tempi si sposava perfettamente con quello che stava incrociando la mia vista.
Rimasi felicemente impressionato dall’adesivo che era stato applicato sulla porta d’ingresso dell’albergo, “VISA”. Bene, questo mi avrebbe risparmiato un sacco di problemi legati al cambio di valuta. L’operazione di cambio in banca era non solo veramente poco vantaggiosa, ma, soprattutto, richiedeva una perdita di tempo inenarrabile, ma, d’altro canto, i vari cambia valute che trovavi, quasi dovunque, nel centro della città, non mi davano nessuna fiducia e tutto avrei voluto, tranne rimanere completamente fregato da qualche cambia valute disonesto.
Questa volta l’albergo aveva proprio le sembianze di un albergo. Non che fosse chissà che cosa, ma, almeno, sembrava pulito ed aveva tutte le lampadine funzionanti nel candelabro dell’ingresso, cosa che né a Satu Mare, né al precedente albergo dove avevo alloggiato la prima volta a Zalau, era accaduto. Sembrava un buon segno. Sembrava, appunto.
Erano quasi le dodici. Ero un po’ indolenzito, d’altronde avevo guidato, quasi, ininterrottamente per oltre mille e duecento chilometri e, la maggior parte del tragitto, era stato percorso su strade statali, attraversando paesi ed evitando Trabant, Polizie e buche. Non potevo pretendere di essere una rosa, ma avevo poco più di trent’anni e sapevo attingere alle forze di cui avevo bisogno per rigenerare il mio stato fisico. E quale forza migliore poteva esserci se non quella dell’eccitazione del mio progetto?
Avevo un’agenda decisamente carica di impegni. Sarebbe meglio dire di questioni da risolvere. Dovevo costituire la mia società e, questo, significava una sequela inaudita di attività. In Italia avevo speso oltre due milioni di lire per costituire quella che sarebbe diventata la socia unica della costituenda rumena, ma, almeno, lo studio notarile, si era occupato di tutte le questioni e l’unica incombenza che avrei dovuto perfezionare sarebbe stata la registrazione al registro delle imposte.
Avevo chiesto a Laura di tradurmi i dettami della legge 31/1991, che era la legge che regolava le società di capitale in Romania. Anche se la traduzione non era delle migliori, quello che mi era apparso decisamente chiaro, era che l’ordinamento rumeno ben poco si discostava da quello italiano. C’erano assolutamente tutti i tipi di società che erano elencati anche nel nostro codice civile e, con una buona approssimazione, anche le varie incombenze e, soprattutto, responsabilità sia dei soci che degli amministratori, era pressoché identiche. Non avevo nessuna idea, però, di come e dove avrei dovuto registrare i vari atti. Mi era abbastanza chiaro che avrebbe dovuto esistere una sorta di Camera di Commercio ed era da lì che avrei cominciato il giorno seguente. Per il momento avrei pagato non so cosa per una bella doccia per poter andare a trovare i miei nuovi potenziali soci rumeni, Calin ed Emil. Ero sicuro che sarebbero rimasti contentissimi del mio regalo. Onestamente desideravo chiedere qualcosa in cambio, ma il prezzo di quello che desideravo era talmente esiguo che non mi preoccupavo minimamente che sarebbe stato un problema per loro accettare.
Ebbi fortuna. Quello era il giorno in cui veniva distribuita l’acqua in quella parte della città, quindi il mio primo desiderio fu esaudito con mia grande soddisfazione e gratitudine per aver insistito a chiedere a Laura che mi prenotasse una stanza in quell’albergo. Lei era stata stranamente reticente nel farlo ed aveva cercato di dissuadermi dicendo che era molto caro e che, il Popassul Romanilor, dove ero stato la prima volta, era molto meglio perché era più tranquillo e silenzioso. Non mi ero lasciato convincere, anche perché mi fidavo di quello che mi aveva detto Walter.
Volevo telefonare a Laura. Sollevai la cornetta del telefono che avevo in camera. Ma rispose una voce che parlava, ovviamente, in rumeno, “poftiţi”. Dopo qualche tentativo in inglese riuscii a collegarmi con Laura. “Ciao, sono appena arrivato. Come stai?” La sua voce era sempre “strascicata” sembrava che fosse stata interrotta nel bel mezzo di qualcosa che rappresentava lo scopo della sua esistenza. Cercai di non irritarmi, in fondo avevo deciso che avrei sostituito quella persona con chiunque altro avesse offerto anche un solo punto migliorativo rispetto a lei. “Io vado da Emil e Calin, domani ti passo a prendere alle nove. Dobbiamo andare alla Camera di Commercio, ma prima dovremmo trovare un notaio per redigere lo statuto della società. ”Non ti serve andare da un notaio per quello. Basta che lo scrivi seguendo il modello che si trova negli allegati della legge che ti ho tradotto, poi andiamo al Registro del Commercio, depositiamo gli atti con la ricevuta del deposito bancario del capitale sociale ed il gioco è fatto.” Troppo bello per essere vero.

Continua…

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