Spazio Italia - Radio Timisoara

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29/08/2016

Retezat 12

Difficile percorsoIl fumo si tagliava con il coltello, dava fastidio anche a me che, al tempo, fumano almeno due pacchetti al giorno. Quel locale sembrava essere approdato ai tempi moderni diretamente dai Daci. Era una sorta di taverna, nel vero senso della parola dato che si trovava in un seminterrato. Appena entravi, oltre al fumo denso di tutte le possibili marche di sigarette per l’est, dato che il tabacco utilizzato per l’europa era molto diverso a parità di marca di sigaretta, ti scontravi con il bancone del bar, dove, almeno quel giorno, serviva una conoscente di Laura. Sulla sinistra un tavolo per quattro persone e continuando oltre al tavolo un corridoio di almeno dieci metri ai cui lati si trovavano dei separè, all’ingresso dei quali, c’era una tenda rossa, di un raso spessissimo, a difendere l’intimità dei commensali. Più che un ristorante dava l’idea di un postribilo da bassi fondi. Non era il primo menù di un ristorante rumeno che prendevo in mano, ma oltre al fatto che erano tutti unti, contenevao la stessa identica lista di portate, anche nello stesso ordine. Prima c’erano degli aperitivi, di cui non ricordo nemmeno un nome, mi era bastato vedere quello ordinato dal separè accanto al nostro. Per i primi “ciorbe” o “supe”. Le prime avevano diverse varietà, ma il locale sebrava essere famoso per quella di “burta”, trippa di vacca. La ciorba è una sorta di minestrone la cui preparazione richiede qualche ora. Mentre la supa non è altro che il nostro brodo. Ovviamente la bontà di entrambe dipendevano dalla qualità degli ingrevienti ed a mio modesto parere, la ciorba di burta che ordinai io era squisita. Il resto della lista, comune a tutti i ristoranti rumeni per almeno diversi anni da li in poi, prevedeva, il “cas caval panè”, “ciafa la gratar”, “piept de piu la gratar”, “mici” e per contorno “salata de rosi”, “salata de vinete”, “salata verde” e le immancabili “cartof pai”. Quella volta mi fecero assaggiare i “mici”. “Mic” significa piccolo e, di fatto, i “mici” sono piccoli, ma la loro digeribilità, almenoper il mio stomaco, era inversamente proporzionale alla loro grandezza. Composti da un mix di carni macinate, tra i quali anche la pecora e coti alla griglia, anche se apparentemente avevano un sapore appetibile, di fatto, furono il mio incubo digestivo, nonostante litri di “palinca” o “tzuica” ed ettolitri di coca cola, per almeno un paio di giorni. Quella fu la prima e l’ultima volta che ne mangiai uno.
Cibo e locale a parte, i miei ospiti, Calin Emil e Laura, Diana era rimasta in ufficio nel caso fosse venuto qualche cliente, sembravano soddisfatti per avermi portato in quel posto. Più avanti avrei capito che La “Crama”, questo era il nome del locale, rappresentava una delle poche alternative al ristorante di “lusso”, il “Meses” e gli altri locali che, francamente, nella mia permanenza a Zalau non frequentai mai.
Era, in ogni caso una ghiotta occasione per continuare con il mio piccolo ed incalzante interrogatoio. Incalzavo sia su questioni tecniche che su amenità derivanti da spunti che prendevo dal luogo dove mi trovavo in quel momento.
“Il salario si aggira sulle cento trenta mila lire per un operaio, mentre un tecnico od ingegnere, prende almeno il doppio.” Le imposte erano rappresentate da un rivolo di percentuali che avrebbero dovuto essre pagate, ognuna, in un conto diverso e con un formulario diverso. Non esistevano altri mezzi di pagamento che il contante, poca, pochissima gente avev il conto in banca, specialmente quella che abitava a Bozna o nei paesi limitrofi. Per il resto il codice del lavoro era molto permissivo, Licenziare come assumenre era molto facile ed il livello di disoccupazione era decisamente alto, soprattutto nelle zone fuori dai centri urbani maggiori. Le imposte sui salari erano scaglionate in base al valore, salario più alto più tasse.
Diverso il discorso per le importazioni e le esportazioni. Quella era una vera e propria avventura, sia burocratica che economica. Ma in quel momento non avevo proprio voglia di prendere appunti. Era troppo divertente vedere Laura che faceva finta di rimestare nel piatto del petto di pollo, che aveva ordinato, facendo finta di essere assente. Capivo benissimo quali erano le sue intenzioni ed, in un certo senso, mi faceva anche tenerezza. Non avrebbe avuto una sola opportunità di raccogliere i fruti del suo operato.
Calin ed Emil erano stati gntilissimi. Avevano risposto a tutte le mie domande, spiegando bene alcuni particolari che, non sapendoli, avrebbero dettato la differenza tra chiudere una buiona operazione o pentirsi per averla iniziata.
Il conto non superava le cinquemila lire. Al tempo in Italia non ci avrei pagato nemmeno metà pizza.
Chiesi quanto avevo da lasciare come mancia e ci incamminammo verso la mia macchina per tornare al loro ufficio.
Diana, appena tornammo, mi disse che era riuscita ad ottenere, grazie suo zio, un appuntamento per l’ora di pranzo del giorno seguente, con il sindaco di Bozna. Non rimaneva che sfruttare anora qualche ora del pomeriggio per approfondire temi importanti per la mia raccolta dati, solo che Laura, nonostante avessi già corrisposto l’intera mensilità ed avessi, contro il parere illuminato di Walter, aumentato il già generoso valore da lui suggerito, decise che la sua giornata di lavoro era finita. Si alzò, salutò in maniera abbastanza sgarbata e, con fare dinoccolato nei suoi pantaloni a zampa di elefante con il ticchettio delle scarpe sul pavimento di cemento di Calin, se ne andò. Ero convinto che si trattasse di una prova di forza tanto per saggiare come avrei reagito, cosa che scoprì in meno di pochi secondi. “Scusa Laura, mi sembra quanto meno inopportuno che tu mi lasci qui da solo. Credo di non ricordare di averti lasciata libera per oggi.” Come per un copione già recitato diverse volte, tornò su i suoi pochi passi, si sedette e, guardandomi con fare più spento che adirato, non disse una sola parola. “Poi ti accompagno a casa in macchina, ma ce ne andrema non prima di un’ora.” La questione era definita. Ero stato un po’ duro, ma avevo definito un’altra porzione di confine che non intendevo cedere. Mai più di allora mi felicitai con me stesso per aver deciso a priori che non avrei mai mischiato il mio lavoro con altri tipi di interessi. Volevo e dovevo mantenere il controllo delle mie attività senza essere “guidato” da altri istinti o da altre persone che, grazie ad altri istinti, mi avrebbero potuto guidare a loro uso e consumo.
Avevo preso molti appunti sul mio laptop, un IBM ThinkPad che mi era costato una follia. Emil era affascinato da quello strumento. Certo ne aveva visti molti, ma il mio era una vera novità anche in Italia, figuriamoci a Zalau nel 1993. Li avrei ordinati la sera in albergo, catalogandoli e redigendo una sorta di rapporto che poi avrei usato per stilare una versione più accurata, adesso avevo le informazioni, del mio piano previsionale economico.
“Lo sai che oggi pomeriggio verso le diciassette danno l’acqua?” Laura aveva trovato il modo per andare a casa. Erano due giorni che mi lavavo con l’acqua minerale gassata e, non solo i denti. Sentivo il biogno di una doccia calda e ristoratrice come un agricoltore che non vede piovere da mesi. “Sei sicura?” Non mi fidavo molto di lei. Ma, dopo le assicurazioni del caso e, soprattutto, la verifica di Calin che telefonò alla reception del mio albergo, che confermò,portai a casa Laura e tornai, facendo affidamento alla mia memoria, al Popassul Romanilor, il mio albergo, per ricevere il premio per quella fruttuosa giornata.
Continua…

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