Ebbene si.
Nelle more di quanto vissuto in questi lunghi anni in Romania, quasi trenta, la maggior parte dei quali trascorsi in Banato tra Sannicolau Mare e Timisoara ho incontrato e condiviso moltissi momenti con persone più o meno interessanti. Tralascio quelle alle quali, per motivi sentimentali più che altro, mi sono avvicinato da molto tempo, per scrivere ahimé, di quei casi, alcuni patologici, che sovente hanno certato di attirare l’attenzione su se stessi denigrando il sottoscritto o coloro i quali mi sono appropriati.
Premetto che questo non vuol essere e non è un j’accuse, bensì una mera e, sono il primo a riconoscerlo, elementare analisi psicologico sociale di questo fenomeno tanto caro ad alcuni coabitanti di questo pianeta.
La tecnica è per lo più sempre la stessa e si basa sulla consueta e quasi unanime attività del genere umano di credere quello che conviene credere o piace credere a prescindere dalle fonti e, soprattutto, dal modo in cui viene diffuso. Alla base di questa tecnica, la maggior parte dei casi v’é la perfidia e la volontà di ferire, sorgente inesauribile l’invidia, anche se in alcuni casi, rari ritengo, la semplice ignoranza e stupidità. Quindi, premesso questo, il plagio, l’estrapolazione dal contesto di alcune frasi, altrimenti forière di ben altro significato, spesso opposto, l’omissione di alcuni particolari apparentemente inutili, ma base imprescindibile del significato dato e voluto, rendono tutto il contrario di tutto.
Manipolando questi fattori si ottengono molte verità che, del vero, nulla hanno, ma che al popolo, spesso bue, aggradano e rendono proprie spandendone, con un apparentemente innoquo ‘click’, il veleno in esse inoculato dal perfido artefice, nel mondo detto virtuale.
Mi soffermo qualche riga sulla questione che quel click sia o non sia innoquo o innocente.
Chi rilancia un giudizio, una notizia, un caso senza essersene preventivamente convinto che le fonti di tale notizia siano non solo certe ma che l’evento in se è reale e non frutto di plagi, come ho sintetizzato prima, bene allora tale individuo non è né innoquo né innocente, ma colpevole alla pari dell’artefice del falso o del plagio.
Nella nostra società, dove alzare uno scudo a protezione del vero implica immediatamente un urlo globale al tentativo di costringere la libertà in confini molto più ristretti, dimenticando il principio di base della stessa democrazia sociale che ìmpera il rispetto dei confini delle libertà individuali, quali un imprescindibile obbligo-diritto di ogni persona, è molto difficile e politicamente pericoloso affrontare questi temi.
Ma dato che il sottoscritto non è né un politico né, tanto meno, una persona pubblica, ma appartenente alla schiera, non esigua, degli uomini democraticamente liberi, posso permettermi di auspicare e sperare che un velo legislativo venga posto il prima possibile. Questi non dovrebbe aver altro scopo che quello di perseguire, con ferreo rigore, coloro i quali appartengono alla categoria dei villantatori e plagiatori seriali, rendendo così un sublime servigio alla comunità tutta, la quale, al momento è sì in balia di codeste marmaglie.
Un primo nobile e quanto mai dovuto gesto dovrebbe essere il ripristinare il reato di diffamazione a mezzo stampa, da intendere pubblico, che dal lontano duemila uno è stato, ingiustamente, derubricato da penale a civile, quanto meno in Romania, dando via libera a mentitori seriali, spesso interessati a ottenere vantaggi materiali o semplicemente ‘morali’, denigrando e assassinando pubblicamente e impunemente persone che, a loro squallido giudizio, intralciano il loro cammino verso la gloria della rete.
Un pena che cada sulle teste di tali persone deve essere esemplare. Oltra a vietare per anni l’utilizzo dei tanto amati spazi pubblici virtuali, comunque essi si chiamino e da chiunque siano gestiti, dovrebbe anche prevedere una lauta ammenda pecunaria al fine di lasciare un profondo segno, una visibile e tangibile cicatrice, a monito di future tentazioni.
Certo, sempre nelle more di quanto vissuto, implicitamente quindi della mia non più tenera età, non confidando più nella volontà dei politici e in quella non esigua schiera di benpensanti che solo grazie al sonno del loro gruppo pusillanime, garantiscono al gruppo definito in questo scritto, un ruolo in evidenza, non posso credere che questo possa avvenire.
E’ per questo che, forte del fatto che non ho mai calpestato nessuno, quanto meno con la chiara intenzione di farlo, e del fatto che il rispetto è e sarà sempre alla base delle mie relazioni, non posso far altro che difendere ciò in cui credo nelle più appropriate sedi.
A buon intenditore poche parole.
Gianluca Testa