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04/04/2010

Problemi sociali

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Cipolle ..made in Cina?

Cipolle ..made in Cina?

Nelle more di quello che sta succedendo e non solamente in Romania, ci è piaciuto un articolo apparso ieri su ‘ZF’,  l’equivalete del nostro ‘Il Sole 24 Ore’, anche se il paragone non regge proprio tanto, dove si disbatteva il tema della crisi. Come saprete in Romania si stanno attuando una serie importante di riforme fiscali che avranno un impatto pesante sulla vita economica del Paese e, di conseguenza, sulla vita delle nostre aziende. Si parla di tassare i Buoni Pasto e tra le altre cose di impostare una sorta di imposta forfettaria per alcune categorie commercili. Oltre a queste ci sono altre attività che hanno visto già attuate le loro norme, tra le quali, l’introduzione di un ‘ticket’ sanitario, cosa tra l’altro ben nota nel nostro Paese.

La questione quindi, a mio parere va separata. Una cosa sono le imposizioni che impatteranno direttamente sulle attivià produttive, ed una sono quelle azioni fiscali che andranno a coprire quei vuoti fiscali che atavicamente abbracciano alcuni settori del commercio.

A prescindere di qualunque considerazione macroeconimica, lo scopo di questo scritto è quello di porre in evidenza il fatto che vuoi o non vuoi, la più grande voragine dello Stato Rumeno, i salari dei suoi utili / inutili dipendenti, non si toccano. Motivazione ufficiale, dalla bocca del Ministro delle Finanze, “non possiamo prendere una decisione a cuor leggero, soprattutto quando questa avrebbe un impatto pesante sia a livello sociale che politico…”. Bene, bravo signor Ministro, possiamo anche noi rispondere così alle vostre solerti ed immancabili ‘Somatie’ e ‘Tituli executori’ che i vostri computer inviano immediatamente dopo che la data della scadenza di pagamento di imposte e tasse non è stata onorata alla scadenza pattuita?

Meglio potremo chiedere che cosa potrebbe inventarsi un imprenditore quando il proprio prodotto/servizio è così scadente e caro da non avere più clienti. Forse dovrebbe imporre con la forza i propri pordotti al mercato tergiversando sulla necessità di migliorare i propri servizi e le proprie procedure, evitando anche di ridurre le sue maestranze. Lo sappiamo che lo Stato non è una società commerciale, non è una fabbica. Lo sappiamo che lo Stato deve avere cura dei propri cittadini indifferentemente dal loro credo, sesso, religione appartenenza politica, ceto e quant’altro,  lo sappiamo bene, ma sappiamo anche che in un mondo contollato dalle regole economiche sarebbe importante, per non dire basilare, che lo Stato desse l’esempio della buona amministrazione.

Parlando con qualcuno che di sindacati in Romania se ne intende, che ha vissuto durante il periodo comunista di Ciausescu e consorte, anche non rimpiangendo la mancanza di libertà, inzia e nemmeno tanto velatamente, a porre l’accento che al tempo la Romania poteva sicuramente vantare un’organizzazione ed un livello industriale e produttivo in genere, ben al di sopra di quello attuale. Anzi, l’accento lo pone sulla regressione morale e della capacità produttiva di questa Nazione, una regressione, che posto come anno zero l’anno della Rivoluzione, trascina la Nazione a trent’anni prima.

Se trascorrete una qualche mezz’ora in un mercato di una qualunque delle città rumene, vi accorgerete immediatamente che da un Paese tipicamente agricolo, da un Paese che per decenni ha esportato fior fiore di prodotti in tutto il mondo, la maggior parte dei prodotti che troverete sui banchi di questi mercati sono per lo più provenienti dall’estero. Cipolla, aglio, pomodori eccetera, non c’è nulla di autoctono. Bhe in fondo come non comprendere che lavorare la terra è dcisamente più difficoltoso e duro che non commercializzare prodotti comprati da un mercato all’ingrosso. Non importa poi che tutti avranno le stesse identiche merci, conterà chi ha potuto vendere di più e di solito lo potrà fare chi ha deciso di risicare i propri guadagni più degli altri. Ancora una volta la logica del prezzo predomina qualunque altra formula di analisi, prevaricando qualità e buon senso.

In questo vediamo un’importante nicchia che vuoi o non vuoi dovrà rendersi palese nel medio periodo. A rigor di logica dovremmo riportare le nostre valutazioni e le nostre analisi tenendo in considerazione qualche variabile in più del semplice prezzo. Forse questa crisi economica non è solamente una questione economica, appunto, è anche una questione culturale che dovrà portarci a rivedere il modello, se di modello si può parlare, che abbiamo sviluppato negli ultimi anni. Rivalutare la genuinità delle cose, di tutte le cose. riscoprire il gusto del proprio mondo prima di rifiutarlo a priori perchè vicino. Riscoprire il gusto delle cose, di qualunque cosa, per il semplice fatto che per pensarla, ottenerla, generarla, produrla è costato fatica, lavoro, ingegno e non è stato un puro e semplice frutto di un’ituizione meramente speculativa.

Così caro Ministro delle Finanze sarebbe il caso di rimettere in discussione tutto ed approfittare del momento, prima di stringere la cinghia là dove non ci sono più buchi a disposizione, per rivedere il modello, premiare chi produce e penalizzare chi non lo fa.

Non credo che nella sua azienda, Signor Ministro, ipotetica o rale che sia, Lei si permetterebbe di mantenere dipendenti nulla facenti che, oltre a tutto, rubano e si lasciano corrompere. Impatto sociale o politico che sia, non credo che sarebbero quelli i parametri che Ella terrebbe in considerazione.

Ci pensi, se ha un po’ di tempo.

Gianluca Testa

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